Diagnosi e gestione del paziente con IPF: il team multidisciplinare e il modello Hub and Spoke

Aprile 2022

Introduzione e cenni epidemiologici

La Fibrosi Polmonare Idiopatica (Idiopathic Pulmonary Fbrosis – IPF) è una patologia cronica e progressiva caratterizzata dalla deposizione aberrante di matrice extracellulare, che determina un esteso rimodellamento polmonare.1

L’IPF è la più comune tra le interstiziopatie fibrosanti (ILD), rappresentando il 17-86% di tutti i casi di ILD; la vera incidenza e prevalenza di questa malattia è tuttavia sconosciuta, a causa della continua evoluzione (e cambiamento) dei criteri diagnostici e della loro scarsa specificità.2

Nonostante l’IPF sia considerata una malattia rara, la sua incidenza è simile a quella del cancro dello stomaco, del fegato e del cancro della cervice.3 

L’IPF si manifesta prevalentemente dopo i 60 anni di età interessando principalmente i soggetti di sesso maschile.4 Pazienti di età inferiore ai 50 anni sono rari; tali pazienti possono successivamente manifestare caratteristiche di una malattia del tessuto connettivo (Connective Tissue Disease – CTD) sottostante che era subclinica al momento della diagnosi dell’IPF5 o possono avere una IPF familiare.6 Sono stati inoltre identificati alcuni fattori di rischio associati a questa patologia come fumo di sigaretta, il reflusso gastroesofageo, infezioni virali croniche come il virus Epstein-Barr, l’epatite C, ed una storia familiare di ILD (in alcuni casi l’IPF può riscontrarsi anche nei parenti primari dei pazienti).7,8,9  Almeno il 30% dei pazienti che hanno una fibrosi polmonare sporadica o familiare ha fattori predisponenti genetici che sono noti per aumentare il rischio di fibrosi polmonare;10 tuttavia, i fattori genetici identificati nelle vie delle telomerasi e dei telomeri sono associati anche con altre ILD.11

Decorso e Prognosi

La malattia inizia frequentemente con un periodo subclinico in cui i pazienti sono asintomatici, nonostante gli esami radiologici possano evidenziare un quadro suggestivo di fibrosi polmonare.12 Con il progredire della fibrosi, i pazienti sviluppano comunemente dispnea e una tosse non produttiva.13 Nonostante il progresso compiuto negli ultimi anni nel trattamento della IPF, questa rimane una patologia progressiva, con una prognosi sfavorevoleLa mediana di sopravvivenza dalla diagnosi è di 2-3 anni, variando tra 27,4 mesi per i pazienti con una malattia di grado severo (FVC < 55%) a 55,6 mesi per i pazienti con malattia di grado lieve-moderato (FVC > 70%).14 Il tasso di progressione di IPF è estremamente variabile, cambiando da paziente a paziente. In molti pazienti la malattia ha un decorso lento e progressivo per un periodo di anni, mentre nel 10-15% dei pazienti il decorso della malattia è molto più rapido e porta alla morte per insufficienza respiratoria in pochi mesi. Infine, una minoranza di pazienti presenta una relativa stabilità per lunghi periodi, caratterizzati da episodici eventi acuti di riacutizzazione (AE-IPF), che possono essere fatali o determinare a un calo della funzione polmonare.12 Anche la presenza di numerose comorbidità (BPCO, ipertensione polmonare, MRGE, neoplasia polmonare) ha un impatto sul tasso di sopravvivenza dei pazienti con IPF.

Le nuove terapie farmacologiche (nintedanib e pirfenidone) introdotte negli ultimi anni si sono rivelate efficaci sia nel rallentare la velocità di progressione dell’IPF (riduzione del declino di FVC>10% in un anno rispetto a placebo), sia nel ridurre il numero di riacutizzazioni, migliorando il tasso di sopravvivenza dei pazienti.15,16  Allo stesso modo è stato dimostrato che il trapianto di polmone aumenta la sopravvivenza nei pazienti con IPF.13

L’importanza di una diagnosi tempestiva e multidisciplinare

A causa del frequente decorso subclinico, caratterizzato da una tardiva comparsa dei sintomi e dalla scarsa specificità dei segni clinici e fisiologici, la diagnosi di IPF è spesso ritardata, con la sintomatologia che compare mediamente oltre 24 mesi rispetto all’effettiva diagnosi.17 Il ritardo nell'invio dei pazienti a un centro di cura terziario specializzato in ILD si correla con un peggiore tasso di sopravvivenza dei pazienti, il che rende una “early diagnosis” di IPF molto importante.18

Tuttavia, una diagnosi "precoce" in una patologia in cui gli attuali criteri diagnostici richiedono l'evidenza di una cicatrizzazione polmonare consolidata risulta essere spesso molto complicata. La realtà è che ciò che accade prima della fase fibrotica, in una fase presumibilmente asintomatica, è in gran parte sconosciuto. Termini come anomalie polmonari interstiziali (ILA) o ILD subclinica sono stati usati per descrivere l'insieme dei modelli di alterazioni polmonari interstiziali che possono essere trovate sulla HRCT in assenza di una presentazione clinica significativa. La correlazione tra ILA e IPF rimane incerta, in quanto anche se alcuni pazienti che presentano ILA possono progredire verso una malattia interstiziale polmonare – UIP (quindi a IPF definitiva) nel corso di alcuni anni, la maggior parte di questi soggetti non svilupperà IPF, andando verso la risoluzione, oppure continuerà ad avere una ILA stabile o minimamente stabile o minimamente progressiva, oppure andrà in contro ad una evoluzione verso altre forme di ILD/IIP (polmoniti interstiziali idiopatiche).19

Negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi di associazione genomica volti ad identificare delle anomalie genetiche alla base dello sviluppo di IPF che consentissero quindi una diagnosi precoce. La scoperta genetica più coerente e riproducibile nell'IPF è rappresentata da un polimorfismo a singolo nucleotide comune nel promotore del gene che codifica per la mucina 5B (MUC5B) situato sul cromosoma 11, che è stato trovato associato a un rischio aumentato da sei a otto volte sia per le forme sporadiche che familiari di IPF. Tuttavia, si stima che questa variante sia presente nel 20% della popolazione generale ed è stata riportata come fattore di rischio anche per l'IPF asintomatica confermando un ampio effetto genetico per questa variante.20

Recentemente è stata proposta l’introduzione di programmi di screening mediante tomografia computerizzata (TC) a basso dosaggio per una diagnosi precoce di ILD da utilizzare in pazienti sottoposti a screening per il cancro del polmone (avendo queste patologie fattori di rischio comuni come fumo ed età), in quanto è stata evidenziato un significativo riscontro di anomalie interstiziali e fibrotiche in questa tipologia di individui.21

Tuttavia più realisticamente, al momento, un rapido riconoscimento di segni e sintomi suggestivi di IPF operato da operatori sanitari rimane l'approccio più valido per limitare il ritardo diagnostico. Un accurato esame obiettivo con evidenza all’auscultazione polmonare di crepitazioni "velcro like", se supportato da un quadro clinico coerente, rappresenta un modo pratico, affidabile e conveniente per sollecitare un adeguato processo diagnostico da parte di un team multidisciplinare esperto.22

Una diagnosi precoce si traduce in un inizio tempestivo del trattamento. Inoltre, il trattamento farmacologico risulta essere efficace anche nei pazienti con funzionalità polmonare relativamente conservata (FVC > 90%),23 supportando l’idea di un inizio precoce del trattamento. Un inizio precoce del trattamento è consigliabile anche nei pazienti con una malattia stabile o a lenta progressione, in quanto possono verificarsi episodi improvvisi di riacutizzazione che peggiorano la prognosi della malattia.24 Infine, è stato dimostrato come anche la riabilitazione polmonare risulta essere più efficace in pazienti con una funzionalità polmonare relativamente conservata.23,25

Studi recenti e linee guida internazionali sostengono l'importanza di un team multidisciplinare (MDT) nella valutazione diagnostica iniziale dei pazienti con sospetto IPF. Tra i membri tipici dell'MDT figurano un pneumologo, un radiologo e un anatomo-patologo, con l'ulteriore contributo di un chirurgo toracico, di un reumatologo, di un infermiere specializzato e, se del caso, di un medico del lavoro. La diagnosi multidisciplinare è considerata il gold standard perché può migliorare l'accuratezza della diagnosi di IPF, evitare test non necessari (ad esempio biopsia polmonare) e ottimizzare la gestione del paziente.

In uno studio di Flaherty e collaboratori,26 gli autori hanno dimostrato che vi è un disaccordo significativo nella diagnosi dell'IPF tra i medici con sede nei centri locali e quelli nei centri di riferimento. In entrambi gli ambienti, l'introduzione di un approccio MDT interattivo ha migliorato l'accordo diagnostico.26 Un ampio studio europeo ha rilevato che l'accuratezza complessiva della diagnosi dell'IPF nei centri con comprovata esperienza raggiunge l'87,2%.27 Vi sono anche prove che suggeriscono che i centri specializzati che gestiscono "MDT ILD" possono migliorare gli outcome clinici, presumibilmente attraverso una migliore identificazione dei casi e un trattamento precoce o più appropriato. In uno studio di Lamas et al.18 l'accesso ritardato a un centro specializzato è stato associato a una maggiore mortalità nell'IPF, indipendentemente dalla gravità della malattia.28

La presa in carica e la gestione del paziente

L'IPF è una condizione rara, mentre i sintomi iniziali di dispnea da sforzo e tosse sono comuni nella pratica generale. Uno degli obiettivi primari per la presa in carico dei pazienti affetti da IPF è quello di agevolare l’accesso alle cure specialistiche presso i centri di riferimento.

A tal fine, è risultato necessario formare delle reti tra pazienti e specialisti del territorio e tra i vari specialisti (modello Hub-and-Spoke) e creare percorsi di riferimento riconosciuti concordati tra gli ospedali. I centri Spoke sono distribuiti sul territorio e possiedono l’expertise, l’accesso a tutti i nuovi farmaci per il trattamento dell'IPF e di altri ILD e, ove possibile, offriranno ai pazienti l'accesso agli studi clinici in questo campo.

centri Hub continuano la gestione clinica del paziente, condividendo le decisioni diagnostiche e gestionali con il centro di riferimento Spoke. Un ruolo fondamentale spetta anche ai medici di base per tutta la malattia e in particolare nelle fasi finali quando il paziente necessita di cure di supporto.

Conclusioni

L'organizzazione Hub-and-Spoke, letteralmente mozzo e raggi, è un modello organizzativo che, per determinate condizioni e malattie complesse o rare, per le quali occorrono competenze specialistiche e costose, queste non possono essere assicurate in modo diffuso e capillare su tutto il territorio.

Per tale motivo, la fornitura del servizio viene sviluppata mediante una rete composta da una serie limitata di centri di riferimento (Hub), completato da centri secondari (Spoke, raggi) che offrono servizi di primo livello, e che permettono l’indirizzamento dei pazienti verso servizi più specialistici per condivisione delle informazioni cliniche, per conferma diagnostica e per il trattamento.

Le reti Hub-and-Spoke offrono molti vantaggi per gli operatori sanitari, ma per trarre il massimo profitto è necessario una organizzazione appropriata.

Il concetto di Spoke non deve essere confuso con quello di un centro meno importante. L’obiettivo è una migliore organizzazione, miglioramento dei servizi territoriali e riqualificazione dei centri periferici. In tal modo la razionalizzazione dei servizi permette una concentrazione di attività complesse in centri di riferimento. Ogni centro Hub deve comunque essere dotato di un identificato bacino di utenza, e percorsi clinico-assistenziali condivisi con i centri periferici. Tale attività permette una uniformità diagnostica e terapeutica. L’implementazione dei sistemi informatici potrebbe rappresentare un sistema efficace in grado di collegare le differenti figure professionali anche in remoto, allo scopo di condividere le informazioni, permettendo una più rapida e corretta valutazione multidisciplinare.

 

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Alberto Ricci - Direttore U.O.C. Pneumologia, Ospedale Sant’Andrea, Roma

Alberto Ricci

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